La Akhmeta Wine House – azienda a conduzione famigliare – gestisce, dal 2004, un piccolo vigneto nella storica provincia di Kakheti, nella Georgia orientale; il vigneto, posto in corrispondenza di ben tre fiumi, gode di un clima fresco e soleggiato – in cui a giornate calde si alternano notti fresche – ottimo per lo sviluppo ideale delle uve.
Quello della Akhmeta Wine House è un raw wine, ovvero un vino naturale, biologico, artigianale, non filtrato, prodotto con una cura maniacale e con una grande attenzione per l’ecosostenibilità.
Tutti i vini della Akhmeta Wine House sono poi espressioni, in purezza, di una singola varietà: si va dal Saperavi al Khihvi, passando per il Rkatsiteli e il Kisi.
Prendono il nome dagli omonimi vitigni autoctoni e, che si tratti di bianchi o di rossi, affinano tutti nei qvevri. I qvevri – otri ovoidali di terracotta -, come la vite, sono fortemente legati alla cultura rurale georgiana; la Georgia, infatti, è considerata la culla della viticoltura mondiale, il primo territorio al mondo dove la vite si è sviluppata e dove è stata lavorata ai fini della vinificazione.

Andrea Scovero, vignaiolo in Costigliole d’Asti, gestisce – dal 1990 – quello che da ben tre generazioni è il podere di famiglia; il suo è un approccio totalmente naturale, sia in vigna che in cantina, sempre teso alla ricerca della massima qualità. La sua proprietà conta poco più di 8,5 ettari, coltivati secondo i dettami dell’agricoltura biologica; Andrea si occupa, personalmente, di tutto, dalla gestione delle vigne, alla vinificazione e imbottigliamento, passando per la raccolta delle uve. In vigna i prodotti di sintesi sono al bando e l’utilizzo di rame è ridotto al minimo, così da dare precedenza all’impiego di sostanze naturali come propoli ed estratti di alghe; in cantina, poi, le fermentazioni si svolgono spontaneamente, senza aggiunta di additivi enologici e con bassissimi dosaggi di solforosa. Andrea produce tre diverse Barbera d’Asti: “Ciapin”, “Amphora” e una versione rosata. Il primo, profondo, succoso, avvolgente, genuino, è vinificato esclusivamente in acciaio, mentre “Amphora”, pieno, concentrato e ricco nella struttura, affina per alcuni mesi in grandi anfore di terracotta. A questi fanno seguito “Il Clown”, un nebbiolo in purezza, e “El Campesino”, prodotto a partire da sole uve sauvignon. “Il Clown” è un’interpretazione artigianale del più nobile vitigno a bacca rossa del Piemonte, mentre “El Campesino” è un Bianco Macerato, dagli aromi complessi e resinosi. 

L’azienda agricola Caprera sorge a Pietranico, nel cuore dell’Abruzzo; qui si produce vino, ma anche olio e pasta. Fin da subito, si sono prese in considerazione esclusivamente pratiche biologiche, le stesse che, invitando a un cambio radicale di prospettiva, impongono di considerare tutte le complessità di un ecosistema. Luca Paolo Virgilio e Alfonso Morelli, entrambi a guida dell’azienda, sono amici da sempre; pur non avendo alle spalle una solida tradizione agricola di famiglia o studi tecnici, i due, nel 2012, si sono messi alla ricerca di un pezzo di terra da coltivare. Giunti a Pietranico, un senso profondo di libertà e pace, l’intima connessione con la Natura e la lontananza dalle interferenze della modernità, li ha convinti che quello era il luogo più adatto a loro, il luogo dove far nascere Caprera. All’epoca gli ulivi c’erano già, così come il bosco, ma mancava la vigna, così i due l’hanno piantata; i vigneti di Caprera sono, quindi, giovani e pieni di energia e danno principalmente spazio alle varietà autoctone, come montepulciano, passerina e pecorino. Il desiderio di produrre vino è nato, come racconta lo stesso Luca Paolo, da un assaggio folgorante, dall’amicizia con un viticoltore e dopo l’esperienza di una vendemmia in Sicilia; a tutto ciò hanno fatto seguito i corsi di agricoltura biodinamica e permacultura, le fiere dei vini artigianali e il richiamo della terra. L’azienda, oggi, conta 22 ettari di proprietà, divisi in due diversi appezzamenti; una parte è dedicata al vigneto, ma ci sono anche 500 piante di ulivo, campi dedicati alla coltivazione del grano, un grande bosco e un laghetto che ospita una variegata fauna selvatica. Per Luca Paolo e Alfonso, infatti, diversità è ricchezza; ciò lo si evince anche dai loro vini, mai uguali a se stessi, liberi, vivi e pieni di energia, sempre in armonia con il Tempo.

Castello di Stefanago è un’azienda vitivinicola dell’Oltrepò Pavese; guidata, da ben cinque generazioni, dalla famiglia Baruffaldi, ha fatto del legame con il territorio e del rispetto per lo stesso un vero e proprio vessillo. L’azienda, che oltre ai 20 ettari di vigneto, vanta anche prati, boschi, frutteti e seminativi, è gestita attualmente da Antonio e Giacomo Baruffaldi, che da tempo hanno scelto di seguire i dettami dell’agricoltura biologica. Nota per il suo Ancestrale, sapientemente declinato, l’azienda vinifica soprattutto varietà come pinot nero, croatina, riesling renano e chardonnay e le sue etichette vantano tutte un’inconfondibile beva.

Fabien Bergeronneau è un giovane vigneron di Ville-Dommange, piccolo comune della Marna. Dopo aver completato gli studi in viticoltura e aver lavorato in diverse aziende, soprattutto in Alsazia, Fabien ha deciso di impegnarsi in prima persona nel Domaine di famiglia, il Bergeronnneau-Marion, ben noto fra gli Champagne lovers. Qui, pian piano, con il supporto dei suoi, ha deciso di dar vita a uno Champagne che portasse, esclusivamente, il suo nome. Ecco, allora, che nel 2017 arriva la sua prima etichetta: non è, però, uno Champagne ma bensì un Coteaux Champenois Blanc AOC. Lo Champagne si è fatto, infatti, attendere un po’ più del previsto ma – a posteriori – ne è valsa indubbiamente la pena!

Sebbene il marchio Champagne Michel Laval sia stato creato – ufficialmente – solo nel 1979, il primo approccio della famiglia Laval con la viticoltura risale al 1870: quell’anno, infatti, Jules Laval eredita 40 acri di terreno e decide, insieme a suo figlio Lucien, di farne una vigna. In seguito, nel 1948, con l’ampliamento del Domaine, inizia la produzione dei primi Champagne ma, per l’appunto, è solo sul finire degli anni ’70 e per volere di Michel Laval – vigneron di quarta generazione – che viene creato il marchio Champagne Michel Laval. Ci troviamo a Boursault, nel dipartimento della Marna, e oggi, alla guida del Domaine, ci sono Aurore e Florian, i figli di Michel; i due hanno abbracciato, in toto, la storia famigliare e portano avanti, con orgoglio, quanto fatto dal padre. Ciò che, sicuramente, fa la differenza è il loro approccio sostenibile; rispettando fortemente suoli e vigne, i due hanno infatti rinunciato a erbicidi e pesticidi, preferendogli compost e fertilizzanti verdi. Decisi, poi, a dar voce, con i loro Champagne, al meraviglioso terroir di Boursault, Aurore e Florian creano Cuvée da condivisione, pensate per poter godere, con spensieratezza, della convivialità.

L’azienda Cosimo Maria Masini sorge sulle colline di San Miniato, in provincia di Pisa, nel cuore della Toscana; in questa zona la viticoltura ha origini antichissime e vanta oltre duemila anni di storia. La Tenuta conta 40 ettari di proprietà, con vigneti, uliveti e seminativi; al suo interno si trova, poi, Villa La Selva, un’antica dimora appartenuta alla famiglia Buonaparte e, in seguito, acquistata dal Marchese Cosimo Ridolfi, famoso agronomo, che per primo, verso metà dell’800, iniziò a lavorare ai vigneti della Tenuta e costruì la cantina di vinificazione. La Tenuta appartiene, dal 2000, alla famiglia Masini e alla sua guida troviamo Maria Paoletti Masini e Francesco De Filippis, campano di origine ed esperto di agricoltura biologica e biodinamica. Infatti, fin dall’acquisizione della proprietà da parte della famiglia Masini, i vigneti vengono coltivati in biologico e recentemente si è passati anche alla biodinamica; l’obiettivo principale è quello di acquisire la sensibilità necessaria a comprendere i ritmi della natura, interpretando la stessa e il territorio con uve, e quindi vini, il più possibile salubri. I vigneti di proprietà si estendono su 15 ettari; crescono su suolo argilloso di origine pliocenica, profondo e ricco di fossili, e tra le varietà allevate troviamo sauvignon blanc, cabernet sauvignon, cabernet franc, sangiovese, canaiolo, trebbiano, vermentino, malvasia bianca e nera, buonamico, san colombano e un autoctono quasi del tutto scomparso, il sanforte. Annualmente si producono circa 70 mila bottiglie, distribuite, oltre che sul territorio nazionale, in 15 differenti paesi. Alla viticoltura si aggiungono, poi, la coltivazione di frutta e ortaggi, di grano tenero e duro da varietà antiche e la gestione di 7 ettari di uliveto.

Dopo aver maturato esperienza sul campo grazie a WWOOF – associazione che, mettendo in relazione volontari e progetti rurali naturali, promuove esperienze educative e culturali basate su uno scambio di fiducia, senza scopo di lucro – Daniele ha capito che era venuto il momento di mettersi in gioco in prima persona: è il 2019 quando, dopo tanto peregrinare, si imbatte nella proprietà dei suoi sogni. In un paesino di 290 anime – Sessame, in provincia di Asti – della Langa Astigiana inizia, quindi, la sua avventura. Partendo da 21 ettari – di cui 4 dedicati al vigneto – abbandonati da più di 10 anni, Daniele ha dato il via a un accurato lavoro di recupero e ripristino e, oggi, poco meno di 2 ettari sono dedicati al moscato. Dalla prima vendemmia, quella del 2020, sono nati il “20.20” e “Le Cesarine”, due Moscati Secchi, due vini naturali prodotti con lieviti indigeni e fermentazione spontanea. Daniele, però, non ha alcuna intenzione di fermarsi qui; ha preso in gestione anche un vigneto di barbera – che vinificherà in anfora – e, a partire dal 2022, inizierà la lavorazione delle uve per la produzione del Metodo Classico Alta Langa DOCG.

Domaine de l’Aubraine deve la sua fondazione a due giovani vignerons passionnés: Caroline e Thibaut Pariset. I due – che hanno accumulato esperienza e savoir-faire lavorando in Domaines biologici e biodinamici – hanno creato Domaine de l’Aubraine nel 2019, partendo da 3 ettari vitati. Ci troviamo nel cuore della denominazione Mâcon-Lugny: è qui che Caroline e Thibaut danno continuamente prova del grande amore che li lega al loro lavoro; dedizione e rispetto per Natura e terroir sono al primo posto, seguiti dalla volontà di dimostrare che un altro tipo di viticoltura non è solo possibile, ma anche praticabile. Fin dall’inizio i due hanno puntato tutto sulla sostenibilità, scegliendo – senza alcun tentennamento – la via del biologico; quest’anno poi, decisi a mettersi ulteriormente in gioco, hanno abbracciato in toto la biodinamica. A sostenerli – e non solo nel lavoro – ci sono Sara, Quiqui e Hatysa: tre cavalli scrupolosamente addestrati per il lavoro in vigna.

Beaune è l’antica capitale dei duchi di Borgogna e, oggi, a fronte di una storia vitivinicola di quasi 1500 anni, può vantare ben 37 Premier Cru e denominazioni celebri come Beaune e Côte de Beaune. 
In un tale contesto Jean-Claude Rateau – classe 1957 – ha, inevitabilmente, mosso i suoi primi passi in vigna da bambino; il nonno paterno, infatti, era cantiniere e conduceva una vigna a La Grande Châtelaine, mentre quello materno si dedicava alla viticoltura a Beaux Fougets. 
Jean-Claude, dal canto suo, conclusi gli studi in viticoltura, si è prima formato nel Beaujolais e a Bordeaux e ha poi dato vita, a Beaune, alla sua Tenuta, partendo da una proprietà di soli 2 ettari. 
Fin dagli inizi ha fatto sue pratiche rispettose dell’ambiente e, inoltre, grazie a importanti collaborazioni con ottimi e noti microbiologi ha imparato, molto presto, anche a gestire adeguatamente i suoli, giungendo infine ad abbracciare il biodinamico. 
Inoltre, Jean-Claude ha potuto contare, in questi anni, anche sul contributo di due celebri famiglie di viticoltori: Thoenig e Baechtold. 
È, sicuramente, anche grazie a loro che oggi Jean-Claude può contare su ben 15 appezzamenti, situati in 12 differenti terroir; a partire da questi dà vita a una gamma completa di vini, tra cui 4 regionali, 7 Cuvée e 3 Premier Cru. 

Nicolas Paget è un vigneron della Loira e dai suoi 17 ettari vitati produce «vins de partage», ovvero vini conviviali, pensati, soprattutto, per essere condivisi. Nicolas lavora nel rispetto della natura, secondo i dettami dell’agricoltura biologica, e i suoi sono «vini d’autore», che portano distintamente la sua firma. Carattere e morbidezza, forza e delicatezza, fascino e finezza: questi sono i tratti più peculiari delle sue cuvée. Ogni etichetta ha la sua identità e si rifà, chiaramente, a quella dei terreni e delle uve. Al Domaine Paget – sito tra Tours et Chinon – si predilige la naturalità e, a partire dal 2001, Nicolas persegue una «tradition renouvellée». Tre le sue appellation: Touraine AOC, Touraine Azay-le-Rideau AOC e Chinon AOC.

Enologa di formazione e appassionata di vecchi vitigni, Sybil Baldassarre si è trasferita sulle alture di Faugères nel 2015 e qui, con lo scopo di produrre esclusivamente vini naturali, ha dato vita all’azienda vitivinicola “La Graine Sauvage”. 
La proprietà conta 3 ettari di terreno e questi, posti a circa 450 metri di altitudine, godono di un’esposizione a sud-est, con vista sul Mediterraneo. 
Sybil, in tutte le operazioni svolte in vigna, dà priorità al mantenimento della vitalità del suolo, con l’intento di rispettare gli equilibri preesistenti; utilizza, pertanto, per proteggere le sue viti solo sostanze di origine minerale o vegetale e letame animale, svolgendo gran parte del lavoro manualmente. 
In vigna si trovano varietà come grenache blanc, vermentino, roussanne e marsanne; vengono tutte raccolte separatamente, in cassette, e vinificate poi con la loro flora autoctona, senza l’impiego di coadiuvanti. 
I vini, in seguito, maturano per un minimo di un anno e non vanno incontro né a filtrazione né ad aggiunta di solforosa. 
Inoltre, Sybil è intenzionata a salvare dall’estinzione alcune delle più vecchie varietà autoctone della regione, come picpoul, aramon blanc, servan e clairette e a tale scopo, a partire dal 2019, ha iniziato a reimpiantarne alcune, riservandogli parte della sua cantina. 

Elios è nata nel 2015, su iniziativa di due amici, Nicola e Guido. I due, infatti, pur avendo background diversi, si sono ritrovati, nello stesso periodo, a riconsiderare i rispettivi percorsi lavorativi; Nicola lavorava all’epoca come progettista e sviluppatore software ma sentiva il bisogno di “sporcarsi di nuovo le mani” e di riavvicinarsi alla natura, mentre Guido, laureato in Enologia, era stanco di impegnarsi per i “sogni di altri”. Entrambi appassionati di vini naturali, hanno così deciso di mettersi in gioco e di dare nuova vitalità alle aziende agricole delle famiglie, succubi ormai da tempo di quei gruppi industriali ai quali svendevano uva e olive. I due, quindi, hanno deciso di diventare produttori, e non solo di uve, ma anche di vino; è nel cuore della Sicilia, infatti, che oggi producono vini naturali a partire da uve biologiche e biodinamiche, senza l’impiego di additivi, prodotti chimici e lieviti selezionati. I loro vigneti si trovano ad Alcamo, Camporeale e Monreale; le varietà coltivate sono il grillo, lo zibibbo, il nero d’avola, il nerello mascalese e il catarratto. Nicola e Guido, dopo aver scommesso sulle loro terre, portano oggi avanti, con Elios, un progetto che mira a riscoprire l’autenticità delle varietà autoctone, lasciando alle stesse la possibilità di esprimersi al meglio. In particolare, il loro “Modus Bibendi” da uve grillo intende restituire a questa varietà la sua vera identità, proponendosi di media struttura, con una bella acidità in equilibrio con la componente alcolica e un profilo aromatico che ricorda la macchia mediterranea.

La storia dell’azienda agricola biologica Emilia Pennac, puro incanto dell’Oltrepò Pavese, ha inizio negli anni ’70; è all’epoca, infatti, che il padre di Silvia, per pura passione, piantò il suo primo mezzo ettaro di vigneto, così da poter produrre vino per sé e per gli amici.
Con gli anni, però, quello che era nato come un divertissement è diventato un vero e proprio lavoro; l’infanzia di Silvia ha preso, così, il colore del mosto, è stata rallegrata dai rumori della cantina e si è riempita di profumi. Nel 2010, poi, è proprio Silvia a prendere in mano le redini dell’azienda, trasformando una proprietà di soli 4 ettari in una di 12.
In azienda la parola d’ordine è biodiversità; si asseconda la natura così come la coesistenza di diverse specie animali e vegetali, con pacciamatura, sovesci, riduzione al minimo degli interventi antiparassitari e prodotti che stimolano l’autodifesa della pianta. L’azienda si compone, attualmente, di ben 16 appezzamenti – tutti nel territorio di Torrazza Coste, in pieno Oltrepò Pavese – con suoli, esposizioni e altitudini differenti; ogni vigneto, quindi, ha le sue caratteristiche e particolarità e a ognuno di essi è riservato il terreno più adatto.
In vigna si trovano varietà come cortese, riesling renano, moscato, pinot grigio, barbera, croatina, pinot nero e uva rara e i vini – bianchi, rossi, macerati e pet-nat – sono frutto di fermentazioni spontanee e nessuna filtrazione. 

Davide Bentivegna – fondatore di Etnella – da quando ha concluso la sua esperienza manageriale in Siemens, si dedica a tempo pieno alla viticoltura. Davide si è approcciato alla viticoltura da autodidatta e, fin dall’inizio, ha avuto ben chiaro che la sua sarebbe stata una viticoltura attenta ai ritmi della Natura; dalle sue viti, quindi, sono banditi del tutto i pesticidi e l’intervento umano è ridotto al minimo, le sue vinificazioni sono artigianali, le fermentazioni assolutamente spontanee e i suoi vini non subiscono né chiarifiche né filtrazioni. Nel 2010, Davide, a partire dai suoi 5 ettari vitati – distribuiti sul versante nord-est dell’Etna -, ha dato vita al suo primo vino: “Notti Stellate”. A questo, hanno poi fatto seguito “Attia” – bianco e rosso -, “Artigiano”, “Orientale Sicula”, “Tracotanza”, “Kaos” – bianco e rosso -, “Villa Petrosa” e “Ponkiolini”, un Sidro.

La famiglia Egger, originaria del Sudtirolo, si occupa di agricoltura da diverse generazioni; dedita anche alla coltivazione dell’uva, ha fatto della produzione di sidro il suo fiore all’occhiello. 
Ad una solida tradizione, legata al territorio, si è aggiunto infatti, negli anni, anche un cospicuo bagaglio di esperienze; tra queste hanno, certamente, pesato le lunghe permanenze in Ecuador e nelle Isole di Capoverde, dove è stato possibile far propria la fine tecnica della fermentazione – in questi paesi legata soprattutto alla lavorazione del cacao – e comprenderne le molteplici potenzialità. 
Una volta in patria, infatti, approcciarsi alla fermentazione delle mele Gravenstein è stato naturale, così come è venuto da sé avviare una produzione di sidro. 
Con gli anni, con l’aggiunta di mele cotogne e fiori di sambuco, il sidro della famiglia Egger si è andato sempre più arricchendo e di pari passo con l’ampliarsi dell’offerta si è giunti alla creazione del marchio Floribunda, da Malus floribunda, la mela selvatica giapponese con cui è incrociata la varietà della famiglia Egger. 
Negli ultimi anni la famiglia Egger si è impegnata molto al fine di rendere sempre più ecologica la propria azienda; ciò che non è cambiato, però, è l’intento ultimo: non alterare l’essenza del frutto, produrre un sidro senza aggiunta di solfiti, spumantizzato in bottiglia, torbido naturale. 

L’azienda agricola Forti del Vento sorge a Castelletto d’Orba, in provincia di Alessandria; associata a Vinnatur e certificata biologica, si trova a circa 300 metri di altitudine e i suoi filari sono sistemati a girapoggio, sistema ideale per sfruttare al massimo l’esposizione. Inoltre, per combattere l’azione erosiva delle piogge e favorire l’equilibrio chimico-fisico del terreno, si fa crescere l’erba nei vigneti, lavorando insieme alla natura ed agli animali per favorire la biodiversità. I vini di Forti del Vento sono naturali, unici e autentici, in netto contrasto con la standardizzazione della maggior parte dei vini in commercio; in vigna si lavora senza alcuna forzatura, con fertilizzazioni mirate, con il solo utilizzo di prodotti vegetali, seminando a filari alterni cereali e leguminose e sperimentando continuamente, con l’obiettivo di eliminare il rame e lo zolfo e garantire uno sviluppo esponenziale di insetti e microorganismi utili. In cantina, poi, non si utilizzano lieviti aggiunti e solfiti; le vinificazioni sono spontanee, così da permettere ai vini di rispecchiare, il più rigorosamente possibile, la vigna e i tratti distintivi della varietà natia. In vigna troviamo barbera, chardonnay, albarossa (incrocio fra chatus e barbera) e nibiö, varietà storica di dolcetto dell’alessandrino che ha rischiato di scomparire a causa della sua bassa produttività. A partire da questi si producono il rosato “299”, vinificato in anfora; uno Chardonnay, “An Piota”, prodotto a partire da vecchie vigne; un Cortese, “Maia”, macerato a lungo sulle bucce; diversi rossi da uve barbera e dolcetto. In tutti i vini c’è l’intento di ricondurre l’assaggiatore a tutto quello che c’è dietro il prodotto finito: un lavoro attento e appassionato, il rispetto per il territorio, per le sue peculiarità e per i caratteri di ogni singola varietà.

La Furlani è una cantina giovane e dinamica, in grado di coniugare tradizione e avanguardia; il rispetto per l’ambiente e per la materia prima è sempre al primo posto e la produzione è totalmente artigianale. I vigneti di proprietà si trovano a circa 720 metri sul livello del mare, in parte sulle pendici della Virgolana e in parte sulle colline che sovrastano la città di Trento; tra le varietà coltivate troviamo chardonnay, müller thurgau, pinot nero, pavana, lagarino bianco e valde erbara. Il lavoro, sia in vigna che in cantina, è meticoloso e dalle uve si ricavano vini naturali, semplici, raffinati e di forte personalità. Nel catalogo prodotti della cantina troviamo dei Rossi, dei Bianchi e dei Macerati ma a farla da padrone sono sicuramente gli Spumante Colfondo e i Metodo Interrotto; tra i primi abbiamo, per esempio, l'”Alpino” e l'”Antico”. L'”Alpino”, connubio di lagarino bianco, verde erbara e nosiola, è un vino dinamico e scattante, da cui è bene non aspettarsi la solita bevuta; l'”Antico”, invece, è una nosiola in purezza, è animato da una spuma fine ed esuberante e chiama all’assaggio più e più volte. Mentre, per quanto riguarda i Metodo Interrotto, Furlani ne propone uno in versione Brut e uno in versione Rosé. Il primo vanta una bolla finissima, che chiama fin da subito il disimpegno, il secondo, invece, è estroso, fragrante, freschissimo e minerale.

Gaspare Buscemi si trova a suo agio ovunque vi siano delle vigne: la sua storia ne è riprova. Classe ’39, di origini siciliane ma nato a Valdobbiadene, Gaspare, dopo aver frequentato la scuola di enologia, si è trasferito, per alcune importanti collaborazioni, in Friuli; qui, negli anni ’60, ha contribuito a dare nuovo corso al Consorzio del Collio, diventando direttore tecnico dello stesso. Seguendo, poi, le suggestioni di Luigi Veronelli, si è impegnato nell’assistenza e nella formazione dei viticoltori; a bordo del suo pick-up ha, infatti, girato, in lungo e in largo, per le vigne italiane, fermandosi ove vi fosse bisogno di assistenza. Inoltre, dopo aver lavorato come enologo in Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia, Toscana, Lazio, Eolie e Friuli, a partire dagli anni ’80 è diventato lui stesso vinificatore. La sua cantina si trova nel Collio friulano, a Cormons, a pochi chilometri dal confine sloveno; qui Gaspare produce, fin dagli inizi, vini artigianali, cioè non modificati nei loro caratteri originari e non standardizzati; si tratta di vini capaci di reggere gli anni, che nascono da uve raccolte e lavorate in condizioni di massima salubrità, con mosti ottenuti attraverso processi naturali di fermentazione, senza il ricorso a stabilizzanti chimici o fisici. Inoltre, ogni operazione è eseguita manualmente, dalla lavorazione delle uve all’imbottigliamento del vino, usando attrezzature proprie; si lascia, poi, che i vini giungano alla loro completezza organolettica naturalmente, senza l’impiego di tecnologie avanzate: saper aspettare è, infatti, fondamentale, in quanto nel tempo la qualità del vino evolve.

I Mattaioni sono Stefan e Matteo, un viticoltore e un ristoratore uniti da un sogno: produrre vini di ampio respiro, aderenti alle tipicità del terroir e, al contempo, peculiari per carattere e facilità di beva. A Gambassi Terme, in un terroir in cui i vini più tipici hanno dalla loro abbondanza e austerità, Stefan e Matteo hanno scelto un’altra via: mano leggera – sia in vigna che in cantina – e agilità alla beva. Sangiovese, teroldego e trebbiano le varietà prescelte, poi fermentazioni spontanee e affinamento in acciaio, cemento o tonneaux di rovere.

L’Isola del Liri, in provincia di Frosinone, è famosa per le sue cascate – in pieno centro abitato – e ha un importante passato industriale: qui sorge Il Vecchio Poggio. Gestita da Amedeo e Graziella, marito e moglie, l’azienda vitivinicola è nata con l’impianto – di quasi un ettaro – del vigneto, tra il 2008 ed il 2015; prima cabernet sauvignon e malvasia di Candia, poi syrah e riesling, infine passerina e angelica, un vitigno autoctono quasi del tutto scomparso. La conduzione del vigneto prevede, fin dagli inizi, trattamenti esclusivamente e rigorosamente biologici; l’intento è, da sempre, quello di assecondare il ritmo della natura, senza forzature, facendo, del prodotto finale, una summa di storia, paesaggio, lavoro e amore per la terra. Abitare un luogo che per la viticoltura è nuovo, dà poi ad Amedeo e Graziella la possibilità di seguire, più facilmente, il proprio sentire: non resta, infine, che ascoltare la vigna.

L’Isola del Liri, in provincia di Frosinone, è famosa per le sue cascate – in pieno centro abitato – e ha un importante passato industriale: qui sorge Il Vecchio Poggio. Gestita da Amedeo e Graziella, marito e moglie, l’azienda vitivinicola è nata con l’impianto – di quasi un ettaro – del vigneto, tra il 2008 ed il 2015; prima cabernet sauvignon e malvasia di Candia, poi syrah e riesling, infine passerina e angelica, un vitigno autoctono quasi del tutto scomparso. La conduzione del vigneto prevede, fin dagli inizi, trattamenti esclusivamente e rigorosamente biologici; l’intento è, da sempre, quello di assecondare il ritmo della natura, senza forzature, facendo, del prodotto finale, una summa di storia, paesaggio, lavoro e amore per la terra. Abitare un luogo che per la viticoltura è nuovo, dà poi ad Amedeo e Graziella la possibilità di seguire, più facilmente, il proprio sentire: non resta, infine, che ascoltare la vigna.

Il domaine di Jean-Claude Lapalu si estende dal Mont Brouilly al villaggio di Saint-Etienne-la-Varenne, si compone di circa 12 ettari e, a partire dall’annata 2010, è certificato biologico; le sue viti, di età compresa tra i 50 e i 100 anni, sono le stesse che un tempo coltivavano il padre e il nonno, soliti vendere le uve alle cooperative locali. 
Jean-Claude ha preso in mano il domaine nel 1995, all’età di 33 anni, e deciso – a differenza di chi l’aveva preceduto – ad imbottigliare i suoi vini, ha abbandonato la viticoltura tradizionale e ha puntato tutto sulla sperimentazione. 
Oggi, a distanza di diversi anni, Jean-Claude è uno dei viticoltori più rispettati e apprezzati del Beaujolais, oltre che uno dei massimi esponenti, in Francia, del vino naturale. 
Le sue cuvée rappresentano, attualmente, il 60% dell’intera produzione e mostrano, fin da subito, tutta la grande fascinazione di Jean-Claude per la versatilità dell’uva. 
Tutte le uve vengono, ovviamente, raccolte a mano e refrigerate per 24 ore prima di andare in vasca per la fermentazione; la vinificazione varia, poi, a seconda della cuvée così come la maturazione, che può avvenire in vasche di cemento rivestite di vetro, in barrique o in tonneaux usati. 
I suoi vini rispecchiano il territorio e c’è sempre una chiara reciprocità tra la qualità delle uve e quella del prodotto finale. 

Sul finire degli anni ’80, Ivan ed Elizabeta Kelhar hanno lasciato in eredità al figlio Marijan la loro azienda agricola; qualche anno dopo, quest’ultimo, deciso a dedicarsi principalmente alla vinificazione, ha creato il marchio Keltis ed oggi l’azienda si compone di 5 ettari di terreno, posti sui pendii settentrionali di Bizeljsko, in Slovenia. 
Qui le viti crescono su suoli particolarmente versatili, con presenza di marna, arenaria, argilla, calcare e selce e i venti che soffiano dalla vicina Orlica sono un alleato naturale nella lotta alle malettie. 
Marijan, che ha imbottigliato, per la prima volta, i suoi vini nel 1989, ha successivamente ceduto il passo al figlio Miha; quest’ultimo ha dato in, breve tempo, prova della sua grande vocazione e con il suo primo personalissimo vino, il “Cuvée Extrême” 2009, ha ottenuto l’eccellente secondo posto al Festival degli Orange Wine di Vienna. 
I vini Keltis nascono da vitigni autoctoni – come il rumeni plavec – cui si aggiungono varietà più internazionali come il cabernet sauvignon, lo chardonnay, il merlot e il traminer; in tutti è poi evidente l’approccio artigiano che si segue sia in vigna che in cantina, così come il forte legame con la terra natìa. 
Si va da quelli della “Linea Classica”, maturati in acciaio e freschissimi, agli Orange Wine, plasmati da macerazioni che possono protrarsi anche per 8 mesi, passando per gli Sparkling Wines, rifermentati in bottiglia. 

Kobal si trova a Ptuj, nella sub-regione slovena di Haloze; qui la tradizione vitivinicola ha quasi 2000 anni di storia e la maggior parte dei vigneti cresce – tipicamente – su ripidi pendii.
Il terreno su cui insistono le vigne di proprietà – dai 15 ai 57 anni d’età – è, poi, ricco di marne; i vini che se ne ricavano, pertanto, hanno una mineralità spiccata e, sicuramente, peculiare. Quella di Kobal è una viticoltura sostenibile e tutti i suoi vini, senza mai mancare di corpo e persistenza, sono espressione purissima del terroir e del varietale natio. 
In vigna trovano spazio soprattutto i vitigni a bacca bianca, ma la produzione non si ferma, di certo, ad eccellenti bianchi: sono, infatti, imperdibili anche il Modra Frankinja e i Metodo Ancestrale. In particolare, nel Rumeni Muškat Pét Nat “Bajta” il carattere del varietale natio si combina con una vivacità senza pari, mentre nel Modra Frankinja Pét Nat Rosé “Bajta” un bouquet ricco di fragole e lamponi sostiene un sorso leggero e fragrante.

Andrea Pra è un giovane produttore di Monteforte d’Alpone, comune posto al centro di una denominazione sfaccettata come quella del Soave; la sua azienda agricola – oggi anche agriturismo e B&B – è una proprietà di famiglia da ben 4 generazioni. A intraprendere, per primo, questo cammino fu il bisnonno Benvenuto che, acquistati alcuni terreni da una contessa veronese, iniziò a coltivarvi il mais; in seguito, poi, fu il figlio Stefano ad ampliare l’azienda e a trasformarla da cerealicola in vinicola. Successivamente, Benvenuto, figlio di Stefano e padre di Andrea, costruì una cantina sotterranea e ristrutturò il vecchio deposito agricolo trasformandolo nell’attuale agriturismo. “La Preara” nasce, ufficialmente, nel 2005 e deve il suo nome all’origine carsica del terreno; oggi, Andrea si occupa, per l’appunto, dei vigneti mentre sua sorella Monica, insieme al marito, gestisce l’agriturismo. In vigna si lavora seguendo i dettami dell’agricoltura biologica, privilegiando le varietà garganega e corvina; a partire dalla prima si producono un bianco fermo e un rifermentato, mentre dalla seconda un rosso maturato in cemento. L’azienda produce un numero molto limitato di bottiglie e le etichette, lineari e dal look pulito, richiamano lo stile de “La Preara”, volutamente semplice e privo di fronzoli.

“La terra è la sola anima”: è con questa frase che Annemie, Roberto, Matteo e Jeff accolgono, sul loro sito, gli avventori. La Vecchia Posta è il loro petit rêve; un’azienda agricola, a conduzione famigliare, sui Colli Tortonesi. Qui il vino veste i panni del protagonista ma, accanto a lui, non mancano i comprimari; tra questi un orto, un frutteto e diversi animali. Il vigneto, di circa 3 ettari, è frutto di un recupero attento e meticoloso di vecchi terreni abbandonati; è con la pratica biologica, poi, che si punta a costruire un equilibrio tra suolo, piante e produzione. Il principe dei bianchi è il timorasso, mentre tra i rossi spiccano ciliegiolo e barbera.

Trasferitosi da Milano a Bolgheri, in Toscana, Paolo Valagussa – di professione agronomo – riprende in mano il piccolo podere, acquistato qualche anno prima dai genitori, e nell’ambito di un progetto di zonazione della DOC, in collaborazione con l’Università di Milano, impianta il primo vigneto. È, quindi, così che nasce Le Grascete, azienda vitivinicola che oggi aderisce al disciplinare di VinNatur. A partire da 3 ettari vitati, si producono diverse etichette, a denominazione Bolgheri e Bolgheri Superiore: l’interpretazione di questo preziosissimo angolo di Toscana è magistrale.

L’azienda Agricola Longarico è nata su iniziativa di Alessandro Viola e Luigi Stalteri; il nome ricalca quello greco dell’odierna città di Alcamo e tratteggia, fin da subito, il legame dell’azienda e dei suoi fondatori con la Sicilia e le sue tradizioni. Alessandro e Luigi, amici d’infanzia, si rincontrano nei primi anni 2000; all’epoca Alessandro, dopo la laurea in enologia, collaborava con i più grandi enologi italiani, mentre Luigi gestiva un winebar. Appassionati entrambi del buon bere e particolarmente legati al mondo dei vini naturali, decidono di dare ascolto al richiamo della Sicilia, loro terra natia, e tornano ad Alcamo, dove si impegnano a valorizzare alcuni terreni di famiglia. Vitigni autoctoni, spesso dimenticati, poco conosciuti anche dagli addetti ai lavori, ma tipici di questa terra e una lavorazione oculata di suoli e uve mira a conservare, il più possibile, le singole peculiarità delle vigne e della zona. L’azienda si trova, infatti, a circa 350 metri sul livello del mare, in un luogo sicuramente caratteristico, in prossimità della Riserva Naturale Orientata “Bosco d’Alcamo”, con affaccio sulla vallata del Fiume Freddo. “Catartico”, “Insolito” e “Nostrale” sono le etichette vessillo dell’azienda; il primo è un catarratto in purezza, un bianco macerato affilato e agile al sorso, il secondo è un rosso di grande profondità, fragrante, ammiccante e coinvolgente, l’ultimo è un bianco sapido e freschissimo, sinuoso e carezzevole. Si tratta, in tutti e tre i casi, di vini artigianali, prodotti con gestione oculata delle macerazioni e ridottissimo uso di solforosa, ricercati e piacevolissimi.

La storia di questa cantina risale al 1931; a dare il via alla lunga tradizione vitivinicola di famiglia fu, infatti, Jozef Husár, acquistando, proprio quell’anno, un vigneto a Suchá nad Parnou, nella regione slovacca di Trnava.
Purtroppo però, prima la guerra e poi il regime segnarono, in poco tempo, la fine dell’avventura vitivinicola di Joseph; tuttavia, dato che il darsi per vinti non è di certo nell’indole degli slovacchi, negli anni 2000 i nipoti di Joseph hanno recuperato i vecchi terreni, hanno reimpiantato i vigneti e, dopo un luogo periodo di studio e ricerca, hanno dato nuova vita al sogno di Joseph, ripartendo con la produzione di vino.
La prima vendemmia, del 2011, si è concentrata sulla varietà blaufränkisch e le uve, di eccezionale qualità, hanno permesso di creare un vino profondo e complesso, che ha incoraggiato a proseguire nell’attività di vinificazione. 
Oggi, in vigna e in cantina gli interventi sono ridotti al minimo; la viticoltura è condotta secondi i dettami dell’agricoltura biologica e tutto il lavoro si fonda sulla radicata passione di un’intera famiglia.
Le etichette di Magula raccontano a pieno la terra natia e narrano, al contempo, la storia di più generazioni, tutte plasmate da uno stretto rapporto con la viticoltura.

Matthias Warnung è un giovane produttore del Kamptal, la più settentrionale tra le regioni vitivinicole austriache; con, alle spalle, anni di esperienza in altre cantine – tra cui in Sud Africa, da Craig Hawkins e Jurgen Gouws – Matthias cura personalmente i suoi 10 ettari vitati, ereditati dal padre nel 2010, e produce un vino che, seppur un po’ fuori dagli schemi, nasce da un grande rispetto per il terroir.
In vigna prevalgono varietà come grüner veltliner, riesling e zweigelt; i vini fermentano spontaneamente, non sono filtrati e si distinguono tutti per una spiccata mineralità e un’equilibrata acidità.
Matthias, inoltre, non si lascia limitare da dettami e certificazioni; per lui, infatti, c’è un solo modo di vinificare ed è quello che permette di imbottigliare un vino genuino, in cui il suo intervento è ridotto al minimo. 
I vini di Matthias sono degli autentici narratori; in loro, infatti, oltre a bouquet e consistenza c’è altro. Modellati sul terroir, raccontano molto del loro produttore, danno voce ai suoi pensieri, ma anche al suo sentire; su di essi la firma di Matthias è inconfondibile.

La cantina “Morra Gabriele, già Pautasso Vini dal 1880”, questo il nome per intero, è in piena terra di Langhe e Roero; a gestirla ci sono due amici, due soci, due ragazzi che con coraggio e determinazione portano avanti il sogno di produrre, autonomamente, un vino di grande qualità. Si tratta di Gabriele Testa e di Stefano Campaniello, rispettivamente classe 1981 e 1983, divenuti soci nel 2013; Stefano, infatti, nella ristorazione da sempre, era responsabile di sala di un locale che Gabriele – nipote, invece, del Morra in etichetta – era solito frequentare. Recuperata, quindi, l’attività vitivinicola del nonno e deciso che la medaglia, vinta da quest’ultimo, al concorso enologico di Bruxelles, ad inizio degli anni ’70, sarebbe diventata simbolo della cantina, Gabriele e Stefano hanno dato il via ad una propria produzione. Le vigne di proprietà si trovano nei paesi di Macellai e Canale, dove si coltiva, in particolare, la barbera, e nel comune di Barbaresco, dove, dall’uva principe, il nebbiolo, si dà, poi, origine, al Langhe Nebbiolo e al Barbaresco. Tutti i vini, che non seguono mode o richieste di mercato, sono prodotti nel massimo rispetto per la natura, a salvaguardia delle vigne e della loro più autentica espressione; per le operazioni in vigna ed in cantina si seguono, poi, le fasi lunari, le fermentazioni sono spontanee e si evitano filtrazioni e chiarifiche. La produzione, limitata a 4500 bottiglie annue, rispecchia i caratteri di Gabriele e Stefano, la loro indole e le loro inclinazioni; la consapevolezza di un patrimonio enoico unico, una radicata passione e un obiettivo comune, permetteranno, di certo, ai due, non solo di continuare, con successo, su questa strada, ma anche di dare spazio, in futuro, alla ricerca e a nuovi progetti.

Nel 1994 le famiglie Faccilongo e Albano, da sempre dedite all’agricoltura, danno il via alla conversione della propria azienda in biologico, per poi dotarsi anche di un laboratorio di trasformazione, nel rispetto della filosofia della “filiera corta”. Oggi l’azienda Paglione è guidata da Nicola Faccilongo e pone sempre al centro del proprio lavoro il rispetto per la terra, per la storia e per le tradizioni della Daunia, la regione più settentrionale della Puglia. Nel corso degli anni l’azienda ha dato vita a tante piccole rivoluzioni, oggi non è però cambiata l’idea su cui tutto si è basato fin dall’inizio: proporre un metodo agricolo rispettoso della terra e dignitoso per l’uomo che la lavora, trasformare con genuinità i frutti della stessa e conservare, a dispetto degli anni, autenticità. Ogni prodotto del Paglione, dalle passate, all’olio, arrivando ai vini, è una vera e propria narrazione; riassume, infatti, le radici contadine della famiglia e l’esperienza tramandata di generazione in generazione. I vigneti aziendali, adagiati tra campi di pomodoro, grano e uliveti, crescono su terreni calcarei, talvolta pietrosi; tra le varietà allevate troviamo il nero di troia, il sangiovese, il montepulciano, la malvasia bianca e il bombino bianco. Tutti i vini del Paglione sono frutto di fermentazioni spontanee, condotte senza l’aggiunta di lieviti, non sono filtrati e affinano in acciaio o in barrique di secondo passaggio; il cavallo di battaglia dell’azienda è indubbiamente il Cacc’e Mmitte di Lucera DOC.

Palazzo Tronconi si trova alle porte di Roma, nell’odierna Ciociaria; edificio storico del XVIII secolo e, un tempo, dimora dell’omonima famiglia, è oggi un delizioso B&B, un agriturismo e, soprattutto, un’azienda vitivinicola. Nelle terre di proprietà si coltivano gli antichi vitigni arcesi, come il lecinaro, l’ulivello nero, il pampanaro, il capolongo e il maturano bianco, cui si aggiungono la malvasia puntinata, il moscato di terracina e il syrah; tutti sono allevati nel pieno rispetto per la natura e per i suoi cicli, secondo i dettami dell’agricoltura biodinamica. La scelta di produrre in modo sostenibile implica, inevitabilmente, la rinuncia a un qualsiasi utilizzo, in vigna, di prodotti chimici; i vini, inoltre, fermentano spontaneamente ed affinano in vasche di cemento, in anfore di terracotta oppure in legno di rovere o di acacia, non subiscono chiarifica e filtrazione e vengono imbottigliati, esclusivamente, seguendo le fasi lunari. La cantina di Palazzo Tronconi, progettata da Roberto Mazzer, architetto ed enologo, consta di tre blocchi, con un’area adibita alla vinificazione di 1000 metri quadrati, in cui si trova anche la barricaia e il luogo di stoccaggio delle bottiglie. L’azienda, che è certificata biologica dall’ente ICEA e certificata biodinamica dall’ente DEMETER, propone, in catalogo, bianchi, rossi e rosati, oltre a due diverse tipologie di Grappa. Il rosato, in particolare, è ottenuto, esclusivamente, a partire da uve della varietà lecinaro, vitigno che, ancora oggi, pochissimi produttori propongono in purezza; di pronta beva, sembra voler annunciare già nel nome, che richiama lo pseudonimo di un noto brigante italiano, il suo carattere dinamico e, sicuramente, vivace.

Fausto e Cinzia Cellario coltivano 13 ettari di vigneto e alcuni noccioleti nelle Langhe, in Piemonte. Noti, nel settore, con l’appellativo di “specialisti del Dolcetto”, i due danno principalmente spazio alle varietà autoctone, come barbera, nebbiolo, favorita, nascetta e – per l’appunto – dolcetto. I loro vini sono naturali e frutto di una viticoltura sostenibile; i loro prodotti sono pensati per rispecchiare, al meglio, la terra di provenienza e per trasmettere all’avventore tutta la passione e l’entusiasmo di Fausto e Cinzia. I due si impegnano a difendere le tecniche più tradizionali di vinificazione, raccolgono manualmente le loro uve, non usano pesticidi o altre sostanze chimiche e non operano chiarifiche e filtrazioni. I loro vigneti sono tutti collinari e si trovano nei comuni di Farigliano, Dogliani, San Luigi, Carrù e Piozzo; accarezzati dalla brezza del fiume Tanaro, godono di benevole escursioni termiche e sono trattati esclusivamente con concime naturale. La cantina aziendale, invece, è sviluppata, come era d’uso una volta, su due piani; al pianterreno vi è l’area dedicata alla vinificazione, mentre nella zona sotterranea avviene l’affinamento – in cemento, anfore e botti grandi di legno -. Tra i prodotti di Poderi Cellario spiccano, indubbiamente, i rifermentati; tra questi “Il Barrusco” è un rosso frizzante in grado di risollevare gli umori, “Il Baffone” è un metodo ancestrale succoso e invitante e “La Grinozza” è un vino freschissimo e spensierato.

Riccafana deve la sua fondazione a Giovanni Fratus; quest’ultimo, infatti, dopo aver lavorato per alcuni anni in Svizzera e in Germania, è tornato nella natia Franciacorta e qui ha dato vita, negli anni ’60, alla cantina.
Tutto ha avuto inizio dal recupero di alcuni vigneti e dal restauro di un cascinale del ‘400, all’epoca completamente diroccato; con la scelta del nome si è voluto, poi, sottolineare fin da subito il forte legame dell’azienda con il territorio natio, battezzandola con il toponimo della zona in cui è ubicata.
Giovanni ha ricercato, fin dagli albori, eccellenza e perfezione e unendo la sua esperienza a quella di altri vignaioli franciacortini ha contribuito, negli anni, a migliorare la produzione del Franciacorta.
Pur essendogli subentrato, in seguito, suo figlio Riccardo, la filosofia aziendale non è di certo cambiata e in un’ottica di continuo miglioramento si è arrivati, nel 2002, alla decisione di convertire l’intera produzione di uve al biologico.
A ciò hanno fatto seguito scelte enologiche aziendali volte, il più possibile, al rispetto per la materia prima e il territorio, così come la volontà di portare i vini a firma Riccafana in tutto il mondo.
Oggi, l’azienda, sita a ridosso delle pendici meridionali del Monte Orfano, conta 13 ettari vitati; qui, grazie anche a un contesto ambientale davvero peculiare, dà vita a vini di grande mineralità, che spiccano per finezza e qualità organolettiche.
I Franciacorta di Riccafana, dal Brut al Satén, passando per il Dosaggio Zero, stupiscono, ammaliano e emozionano. 

Santa 10 è un’azienda agricola biologica; si trova nel comune di Siena e conta circa 8,5 ettari di proprietà. 
I vigneti coprono un ettaro e mezzo di superficie, sono stati reimpiantati negli anni 2000 e crescono su suoli tufacei, con presenza di sabbie fossili marine e argilla in profondità; le varietà prevalenti sono sangiovese, canaiolo, ciliegiolo, colorino, trebbiano, petit verdot e cabernet sauvignon. 
Tutto ha avuto inizio quando Gianni, proprietario dell’azienda, ha preso a seguire, nel 1994, i terreni agricoli di famiglia, portando avanti le produzioni di vino, olio e seminativi di sua madre e di suo nonno. 
Negli anni 2000, poi, non solo ha reimpiantato i vigneti, ma anche aggiunto 50 alberi da frutto e restaurato le vecchie cantine. 
Oggi Santa 10, sfruttando le qualità della terra gialla di Siena e dopo aver affinato i metodi di vinificazione, produce circa 8 mila bottiglie di vino; Gianni, inoltre, lavora seguendo i ritmi della natura, intenzionato a garantire anche alle future generazioni una terra il più possibile salubre. 
In azienda, pertanto, non si utilizzano prodotti chimici, pesticidi e concimazioni; le lavorazioni del terreno sono di scavallatura ed estirpazione interfilare non invadenti, d’ausilio ad una organicizzazione lasciata alla natura. 
In cantina, poi, non si utilizzano lieviti aggiunti, sistemi per il controllo della temperatura o filtrazione del vino e la maggior parte delle lavorazioni viene svolta manualmente. 
La vinificazione, infine, avviene in acciaio e l’invecchiamento è effettuato, per 12-24 mesi, in rovere. 
Tutti i vini di Santa 10 risultano, in definitiva, accomunati dai tratti aromatici più tipici del territorio, sono complessi, coinvolgenti e ben si prestano alla condivisione. 

Michele, Matteo e Mattia – tre amici amanti del buon vino e dei prodotti genuini della loro terra – hanno dato vita, nel 2012, all’azienda vitivinicola Tasi; il cuore della loro produzione è – sorprendentemente – una vecchia cava di marna, situata nel nord della Val d’Illasi (Verona), abbandonata alla fine degli anni ‘70 e da loro riconvertita in vigneto. La cava, nata nel 1922 per l’estrazione dei materiali dell’ITALCEMENTI di Tregnago, con la chiusura del cementificio sarebbe dovuta diventare una discarica per rifiuti speciali, ma grazie all’intervento dei cittadini ha avuto la meglio un progetto di recupero e, con esso, la bonifica della cava. Michele, Matteo e Mattia conducono, oggi, la loro vigna proteggendo e promuovendo la biodiversità; autenticità, sostenibilità, artigianalità, unicità e condivisione sono i cardini della loro filosofia. Le loro vigne crescono su suoli sani, ricchi di microorganismi e di attività microbiologica e sviluppano, quindi, apparati radicali forti e profondi, in grado di assorbire i sali minerali presenti nel terreno. In cantina si utilizzano, poi, solo lieviti indigeni; non si ricorre alla filtrazione e a processi che possano alterare la genuinità del vino. Tra i prodotti Tasi è possibile trovare sia rossi che bianchi; si va, infatti, dall’Amarone DOCG al Valpolicella Ripasso DOC, dalla Garganega IGT al Prosecco DOC.